venerdì 31 dicembre 2010

Fra cinque ore vedrò Gesù (Jacques Fesch)

Il post precedente ('Chiara Luce e gli altri "innamorati di Gesù" di Renzo Allegri') riporta verso la fine alcune note biografiche relative a Jacques Fesch.




Di seguito, la lettera scritta da Jacques cinque ore prima dell'esecuzione capitale, ovvero cinque ore prima della sua partenza per il cielo. Aveva 27 anni.





"Ultimo giorno di lotta: domani a quest'ora sarò in Cielo. Il mio avvocato è appena venuto ad avvertirmi che l'esecuzione avrà luogo domani verso le 4 del mattino. Che la volontà del Signore sia fatta in ogni cosa! Confido nell'amore di Gesù e so che Egli comanderà ai suoi angeli di portarmi sulle loro mani. Che io muoia come vuole il Signore che io muoia. Sono sicuro che nella sua bontà Gesù mi donerà una morte da cristiano, affinché sino alla fine io possa rendergli testimonianza. Bisogna che io glorifichi il suo Nome, e so che io lo glorificherò. Devo fortificarmi la volontà; e perciò penso alla processione dei decapitati che onorarono la Chiesa. Sarei più debole di loro? Dio me ne guardi! Non mi si uccide per ciò che ho fatto, ma per servire di esempio e per ragione di stato! Ad imitazione di Gesù devo implorare il cielo che nessun peccato venga imputato a chi sia per causa mia. Or ora mi sembra che, qualunque cosa io faccia, mai il Paradiso sarebbe per me! È Satana che m'ispira questo; vuole scoraggiarmi. Mi sono gettato ai piedi di Maria e ora va un po' meglio. Strana veglia di morte, però!




Ecco, ho recitato la mia Messa di Nozze, unendomi con tutta l'anima a Pierrette, che ora è mia moglie in Dio. Reciterò il mio rosario e delle preghiere per i moribondi, poi affiderò la mia anima a Dio. Buon Gesù, aiutami!... Ho recitato le mie preghiere e sono inondato di pace e di forza' Nel suo amore infinito Gesù ha ascoltato la mia preghiera e mi ha esaudito. Gesù, io ti amo!... Sono più tranquillo di un momento fa, perché Gesù mi ha promesso di portarmi subito in Paradiso, e che io morirò da cristiano. Che pace, che straordinaria lucidità di spirito! Mi sento leggero leggero e per il momento ogni timore è scartato. Non sono solo, ma il Padre mio è con me. Solo più cinque ore da vivere! Fra cinque ore vedrò Gesù! Quanto è buono nostro Signore. Non attende nemmeno l'eternità per ricompensare i suoi eletti. Mi attira con tutta dolcezza a Sé, donandomi questa pace che non è di questo mondo. Felice colui che ripone la sua fiducia nel Signore. Non sarà mai confuso!...



La pace è svanita per dar posto all'angoscia! È orribile! Ho il cuore che salta nel petto. Santa Vergine, abbi pietà di me!...Santa Vergine, a me! Addio a tutti e che il Signore vi benedica! "

lunedì 27 dicembre 2010

Chiara Luce e gli altri 'innamorati di Gesù' di Renzo Allegri

Santa Scorese, di Bari, morta nel 1991, a 23 anni. Era una ragazza piena di vita, amava la musica, cantava a suonava la chitarra. Scrisse: “Tutto è amore perché Dio ci ama immensamente… Sarei disposta a sacrificare la mia vita, perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio!”


ROMA, lunedì, 20 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Il 26 settembre scorso, a Roma, è stata beatificata una ragazza italiana, Chiara Luce Badano, morta nel 1990, quando non aveva ancora compiuto 19 anni. La sua giovane esistenza è stata stroncata da un tumore alle ossa che ha trasformato l’ultimo anno della sua vita in un autentico martirio. La cerimonia della beatificazione si è tenuta al Santuario del Divino Amore vicino a Roma con un grande concorso di gente: oltre 25 mila persone, in gran parte giovani.

[...] “Sembra quasi impossibile”, dico a monsignor Maritano “che una ragazza così giovane sia una santa”. “La santità non è riservata a persone adulte, ad appartenenti a ordini religiosi e cose del genere", risponde monsignor Maritano. “La santità consiste nella perfetta unione con Cristo. La grazia di Dio chiama tutti gli uomini alla santità, ma diverse sono le risposte che le persone sanno dare. Chiara Luce ha risposto alla chiamata con generosità eroica, anche se era ancora una ragazzina”.

Un caso eccezionale.
Monsignor Maritano: "Niente affatto. Ce ne sono tanti, che restano sconosciuti all’opinione pubblica, ma sono reali e concreti. All’apparenza, Chiara era una ragazza normalissima. Uguale alle sue coetanee. Ma è stata la sua risposta a Dio ad essere eccezionale. Chiara era figlia di persone umili, e riservate, cattoliche, che mettevano in pratica la loro fede nella vita di ogni giorno. Pregavano insieme e si sforzavano di amare Dio e il prossimo. Chiara è cresciuta in questa famiglia, ha assimilato i valori cristiani dei genitori, ma poi, è stata lei, per sua libera scelta, a volerli praticare con grande dedizione. Sta in questa 'libera scelta' la sua santità".

Che genere di educazione ha avuto?
Monsignor Maritano: "Fin da bambina ha imparato a pensare a Dio come a un 'vero' padre, a Gesù come un amico, un fratello. Il suo motto, fin da piccola era: 'Se Gesù lo vuole, lo voglio anch’io'. E’ stata fedele a questo principio anche quando il suo 'sì' ha richiesto un coraggio eroico".

A scuola e tra i coetanei non si sentiva un pesce fuori d’acqua?
Monsignor Maritano: "A nove anni ebbe la fortuna di conoscere il Movimento dei Focolari di Chiara Lubich e volle farne parte. Quello dei Focolarini è un Movimento di famiglie laiche che si impegnano a vivere il Vangelo. La bambina è cresciuta in quel Movimento e certamente si sentiva, in un certo senso, protetta quando certi coetanei la prendevano in giro per la sua fede, soprattutto alle medie e al liceo. Ma, pur soffrendo a volte, non ha mai rinunciato a testimoniare le proprie convinzioni. E alla fine il suo comportamento leale e deciso ha conquistato la stima e la fiducia di tutti".

Era una ragazza molto bella, simpatica, attraente. Aveva dei corteggiatori?
Monsignor Maritano: "Era un bella ragazza e aveva un carattere estroverso, vivace, simpatico. Il suo cuore di adolescente si infiammava, come quello di tutte le ragazze. Sentiva forte l’attrazione per qualche compagno. Dagli atti del processo risulta che ebbe dei piccoli flirt, ma trovandosi di fronte a richieste che contrastavano con le sue convinzioni morali, ebbe il coraggio, magari con le lacrime agli occhi, di troncare subito. Sognava il grande amore, il principe azzurro con il quale formare una famiglia e avere dei figli. E aspettava che arrivasse l’età e il tempo giusto per realizzare il suo grande sogno".

Quando si è manifestata la malattia?
Monsignor Maritano: "Mentre frequentava il liceo. Un tumore alle ossa. Una malattia atroce che in due anni la portò alla morte. Il periodo della malattia fu quello della 'grande prova'. In famiglia e nel Movimento dei Focolari aveva imparato la teoria del vivere cristiano. La malattia fu la 'pratica'. E lei si comportò da grande campionessa. Quando le dissero che aveva un tumore maligno, certamente si spaventò, ma per poco. Rifletté, e poi ebbe il coraggio di dire come sempre: ìSe lo vuoi tu Gesù, lo voglio anch’io'.
La malattia fu dolorosissima. Quel tipo di tumore provoca spasmi lancinanti. Venne sottoposta a vari interventi chirurgici, a infiltrazioni, biopsie, analisi invasive, chemioterapie pesanti, con effetti collaterali distruttivi. Furono due anni di autentico martirio fisico e psichico ma Chiara non perse mai la calma, mai il sorriso. Era determinata a sopportare tutto per amore di Gesù. Sembrava immune al dolore ma il suo nascondere la sofferenza era solo un modo per tranquillizzare la famiglia. Ad un certo momento, la malattia paralizzò le sue gambe. Immobilizzata a letto, volgeva spesso lo sguardo verso l’immagine di Gesù che teneva sul comodino e da quel gesto si capiva che stava davvero soffrendo, che il male era in quel momento davvero insopportabile".

Come era negli ultimi mesi di vita?
Monsignor Maritano: "Uno scrigno di forza e di fede esemplari. Il suo unico scopo in quei momenti tremendi era offrire il dolore che provava a Dio, certa che Lui avrebbe saputo come disporne. La sua totale fiducia nel mistero della sofferenza era immensa. Rifiutava la morfina perché diceva che le toglieva lucidità e le impediva di parlare con Gesù. E disse anche che non avrebbe più chiesto a Dio di venire a prenderla per portarla in Paradiso perché poteva sembrare che lei non volesse più soffrire. Diceva: 'Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no perché così sono più vicina a Gesù'. Le fu proposto di andare a Lourdes a chiedere la guarigione alla Madonna. Non volle. 'Non credo che la mia guarigione rientri nel piano di Dio', ripeteva".

Ho letto che riceveva amici e parenti sempre con il sorriso.
Monsignor Maritano: "E’ vero. Nonostante la sofferenza insopportabile, Chiara era sempre sorridente e aveva una parola di incoraggiamento per chiunque andasse a trovarla. Era lei, nel letto, demolita dalla malattia, a dare speranza alla famiglia e agli amici. Chi la avvicinava, riceveva qualche cosa da lei. Perfino alcuni medici, indifferenti verso la religione, cambiarono atteggiamento. Era incredibile la maturità spirituale che quella ragazzina di diciotto anni dimostrava. Un’altra, al suo posto, avrebbe cercato il conforto dei genitori e invece era lei a distribuire loro forza e coraggio. Diceva a sua madre: 'Fidati di Dio. Quando io non ci sarò più, segui lui e troverai la forza per andare avanti'. E poi: 'Gesù mi aspetta. Quando viene a prendermi, io sono pronta. Quando morirò non soffrirò più. Andrò in cielo dove vedrò Gesù e la Madonna. Sarò tanto, ma tanto felice'".

Quali furono le sue ultime parole?
Monsignor Maritano: "Furono per la madre. Le disse 'ciao', come una qualsiasi ragazza in procinto di partire per un viaggio. 'Ciao, mamma. Sii felice, io lo sono'".

Chiara Luce non è un caso unico nel mondo giovanile di questo nostro tempo, apparentemente privo di valori religiosi e spirituali. Carla Cotignoli, la responsabile delle informazioni del Movimento fondato da Chiara Lubich, mi ha detto che ci sono altri cinque giovani che in vita militavano nel Movimento dei Focolari, dei quali è in corso il processo di beatificazione. Ecco i loro nomi:

Alberto Michelotti, genovese, morto nel 1980, a 22 anni. La sua vita fu caratterizzata da un grande amore per tutti, soprattutto per i meno fortunati e questo amore nasceva dal suo incontro con Gesù. Scrisse: “C'è Qualcuno che entra sempre più nella mia giornata, è Gesù”.

Carlo Grisolia, anche lui genovese, amico di Michelotti, morto nel 1980, a 20 anni, stroncato da un tumore fulminante. Poco prima di morire disse agli amici: “Siate pronti a dare la vita gli uni per gli altri. Offro la mia vita per tutti voi, ma soprattutto per tutti quelli che soffrono, per i ragazzi del mio quartiere, per la mia parrocchia e per il mondo unito”.

Daniela Zanetta, di Maggiara, in provincia di Novara, morta nel 1986, a 24 anni. Era affetta da una rarissima malattia che le provocava in tutto il corpo bolle e lacerazioni alla pelle con sofferenze terribili, e spesso doveva essere ricoverata in ospedale. Poco prima di morire scrisse in una lettera: “Vorrei gridare a tutti che la vita di ogni creatura è sacra e bella. Ho una seria malattia della pelle; ho perso i miei capelli, le mie unghie e ho dovuto farmi estrarre tutti i denti… Ma credo in Dio, lo amo intensamente e lo ringrazio per avermi donato la vita, perché ogni giorno che mi regala è un'occasione in più che ho per amarLo e per servirLo”.

Maria Orsola Bussone, torinese, morta nel 1970, a 16 anni. Pochi mesi prima di morire, scrisse: “Sarei disposta a sacrificare la mia vita, perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio!”.

Santa Scorese, di Bari, morta nel 1991, a 23 anni. Era una ragazza piena di vita, amava la musica, cantava a suonava la chitarra. Scrisse: “Tutto è amore perché Dio ci ama immensamente… Sarei disposta a sacrificare la mia vita, perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio!”

Una storia speciale è quella che riguarda un diciassettenne, che si chiamava Charles Moats. Era un afroamericano vissuto a Chicago al tempo di Martin Luther King e dei violenti scontri razziali in quella città e in tutti gli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso. Charles aveva una difficile situazione familiare: non conosceva il padre e sua madre era alcolizzata. Viveva in uno dei quartieri-ghetto della città, segnato da violenza, povertà, emarginazione. Era destinato quindi a una esistenza traviata in tutti i sensi. Ma un giorno conobbe dei ragazzi del Movimento dei Focolari, che divennero suoi amici speciali e frequentandoli trovò il grande ideale: Gesù, l’amore per Gesù.
Nel suo cuore si sviluppò l’impegno concreto per l'unità tra gli uomini, secondo il messaggio evangelico, al di là e al di sopra di tutte le diversità sociali, razziali, religiose. Purtroppo, quegli ideali gli costarono la vita e un giorno venne assassinato. Ma il suo esempio è diventato una fiaccola che ancora arde e illumina, grazie a un gruppo artistico, che si chiama Gen Rosso, composto da 18 persone provenienti da 9 diverse nazioni, nato proprio al tempo della morte di Charles e diventato poi famoso in tutto il mondo. Questo gruppo, che fa parte del Movimento dei Focolari, ha trasformato la storia di Charles in un musical dal titolo “Streetlight”, e l’ha portata e continua a portarla con successo in giro per il mondo.

Un’altra storia emblematica è quella del francese Jacques Fesch. Un giovane che non apparteneva a nessun movimento spirituale, anzi rappresentava quella parte di giovani che vengono definiti “i perduti” la “gioventù bruciata”. Nato in Francia nel 1930, apparteneva a una famiglia cattolica e anche ricca, essendo suo padre un noto banchiere. A 17 anni, Jacques si ribella contro l’educazione ricevuta, abbandona la religione e inizia una vita sregolata. Sposa civilmente una ragazza che aveva messo incinta, ma poi abbandona moglie e figlia, ed ha un figlio da un’altra donna. Pensa di girare il mondo in barca, ma i suoi non gli danno i soldi per comperare la barca. E lui, nel 1954, per avere quella barca, tenta una rapina in banca e uccide un poliziotto. Viene arrestato, processato e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il primo ottobre 1957, quando Jacques aveva soltanto 27 anni.
In seguito, si venne a sapere che, in carcere, Jacques si era convertito. Anche lui era stato folgorato dalla Grazia di Dio e negli ultimi tre anni aveva tenuto una condotta esemplare. Il suo Diario, poi pubblicato, e le lettere ai parenti e agli amici, sono un documento commovente e inconfutabile. Così importante da convincere il cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, ad aprire, nel 1993, il processo di beatificazione di questo giovane assassino. Il 2 dicembre 2009, anche Benedetto XVI ha citato, in piazza San Pietro, il nome di questo giovane.

E’ difficile immaginare che cosa possa accadere nel profondo della coscienza di una persona. Quello è il luogo dell’incontro inevitabile con Dio. E, se appena la persona ascolta e si apre alla Grazia, tutto diventa possibile, sia che quella persona provenga da una famiglia credente, sia che abbia percorso le strade della perdizione. Chiara e gli altri giovani sulla vita della beatificazione sono la punta di un iceberg, costituito da innumerevoli ragazzi e ragazze del nostro tempo “innamorati” di Gesù. Un iceberg enorme, ma sconosciuto perché naviga in un mare strano, che lo ignora e fa di tutto perché nessuno ne parli. Ma, per fortuna, c’è, ed è ciò che conta.
Una storia speciale è quella che riguarda un diciassettenne, che si chiamava Charles Moats. Era un afroamericano vissuto a Chicago al tempo di Martin Luther King e dei violenti scontri razziali in quella città e in tutti gli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo scorso. Charles aveva una difficile situazione familiare: non conosceva il padre e sua madre era alcolizzata. Viveva in uno dei quartieri-ghetto della città, segnato da violenza, povertà, emarginazione. Era destinato quindi a una esistenza traviata in tutti i sensi. Ma un giorno conobbe dei ragazzi del Movimento dei Focolari, che divennero suoi amici speciali e frequentandoli trovò il grande ideale: Gesù, l’amore per Gesù.
Nel suo cuore si sviluppò l’impegno concreto per l'unità tra gli uomini, secondo il messaggio evangelico, al di là e al di sopra di tutte le diversità sociali, razziali, religiose. Purtroppo, quegli ideali gli costarono la vita e un giorno venne assassinato. Ma il suo esempio è diventato una fiaccola che ancora arde e illumina, grazie a un gruppo artistico, che si chiama Gen Rosso, composto da 18 persone provenienti da 9 diverse nazioni, nato proprio al tempo della morte di Charles e diventato poi famoso in tutto il mondo. Questo gruppo, che fa parte del Movimento dei Focolari, ha trasformato la storia di Charles in un musical dal titolo “Streetlight”, e l’ha portata e continua a portarla con successo in giro per il mondo.
storia emblematica è quella del francese Jacques Fesch. Un giovane che non apparteneva a nessun movimento spirituale, anzi rappresentava quella parte di giovani che vengono definiti “i perduti” la “gioventù bruciata”. Nato in Francia nel 1930, apparteneva a una famiglia cattolica e anche ricca, essendo suo padre un noto banchiere. A 17 anni, Jacques si ribella contro l’educazione ricevuta, abbandona la religione e inizia una vita sregolata. Sposa civilmente una ragazza che aveva messo incinta, ma poi abbandona moglie e figlia, ed ha un figlio da un’altra donna. Pensa di girare il mondo in barca, ma i suoi non gli danno i soldi per comperare la barca. E lui, nel 1954, per avere quella barca, tenta una rapina in banca e uccide un poliziotto. Viene arrestato, processato e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il primo ottobre 1957, quando Jacques aveva soltanto 27 anni.
In seguito, si venne a sapere che, in carcere, Jacques si era convertito. Anche lui era stato folgorato dalla Grazia di Dio e negli ultimi tre anni aveva tenuto una condotta esemplare. Il suo Diario, poi pubblicato, e le lettere ai parenti e agli amici, sono un documento commovente e inconfutabile. Così importante da convincere il cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, ad aprire, nel 1993, il processo di beatificazione di questo giovane assassino. Il 2 dicembre 2009, anche Benedetto XVI ha citato, in piazza San Pietro, il nome di questo giovane.

E’ difficile immaginare che cosa possa accadere nel profondo della coscienza di una persona. Quello è il luogo dell’incontro inevitabile con Dio. E, se appena la persona ascolta e si apre alla Grazia, tutto diventa possibile, sia che quella persona provenga da una famiglia credente, sia che abbia percorso le strade della perdizione. Chiara e gli altri giovani sulla vita della beatificazione sono la punta di un iceberg, costituito da innumerevoli ragazzi e ragazze del nostro tempo “innamorati” di Gesù. Un iceberg enorme, ma sconosciuto perché naviga in un mare strano, che lo ignora e fa di tutto perché nessuno ne parli. Ma, per fortuna, c’è, ed è ciò che conta

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giovedì 23 dicembre 2010

Aquerò

«Intravidi una signora vestita di bianco: ella portava un vestito bianco, un velo anch'esso bianco, una cintura blu e una rosa gialla su ciascun piede.» (Bernadette Soubirous, 11-02-1858)

"Aquerò", nel dialetto parlato da Bernadette significava "quella là".

Amore

Si dimentica forse
una donna
del suo bambino,
così da non commuoversi
per il figlio del suo seno?
Anche se ci fosse
una donna che si dimenticasse,
io invece
non ti dimenticherò mai.


(Isaia 49,15)

martedì 14 dicembre 2010

Maria la “silenziosa”

Un brano tratto dal libro delle visioni di Anna Emmerick; Maria non è la madre del Salvatore e sembra nemmeno essere la Maria che si è scelta la parte migliore, anche se i tratti sembrano perfetti per una donna seduta ai piedi di Gesù, mentre ascoltava la sua Parola. E' una figura di una meravigliosa intensità.

Maria la "silenziosa" era considerata a torto poco intelligente, ma invece era molto saggia e accetta a Dio. Non è nominata nel Vangelo. La "silenziosa" trattava sempre di argomenti celesti, come se vedesse, e fosse continuamente in contatto col Cielo; prestava quindi molta attenzione alle parole del Maestro Divino, perché Egli le parlava del suo Padre Onnipotente. La "silenziosa" mai fissava Gesù frontalmente, ma solo da un lato. Sembrava che non vivesse più sulla terra ma nel mondo dello Spirito Divino; per questo la conversazione con Maria era in sostanza solo una lode e una preghiera a Dio, una manifestazione di misteri divini. La sua conversazione era misteriosa, parlava come se avesse delle visioni che le scorrevano dinanzi agli occhi [...] Maria "la silenziosa" parlava del celeste Messaggero come se lo vedesse: lo descrisse come chi assiste allo svolgersi di una processione. La "silenziosa" lodò la Santa Vergine e parlò della nascita di Gesù come se si rivolgesse al Neonato Divino: "O Bambino! Tu devi mangiar burro e miele". Poi riferendosi al presente aggiunse: "Ora, o mio Gesù, comincia il tuo cammino sulla via dolorosa!". Vidi che mentre parlava in questo modo lei era assente dal corpo, come se conversasse con persone invisibili agli occhi umani. Gesù la interruppe per pregare e lodare il suo Padre Celeste. Quando il Salvatore lasciò "la silenziosa", ella rimase dapprima estatica; poi si ritirò lentamente nel suo appartamento. Gesù ritornò da Lazzaro e Marta dicendo loro che l'anima di Maria non apparteneva più a questo mondo. Disse pure che lei era felice perché si trovava in uno stato d'impeccabilità. "La silenziosa" non aveva parlato ad alcuno come aveva fatto col Redentore; pregava molto e soffriva per i peccati del mondo. Per mezzo di una visione tremenda, partecipò in anticipo ai dolori e alla prossima Passione di Gesù. Allora ne fu talmente sconvolta e addolorata che lasciò per sempre questa terra.

lunedì 13 dicembre 2010

Ho solo Gesù - Giovanna Spanu (9 dicembre 1955 - 23 luglio 2003)

Dal sito dedicato a Giovanna Spanu

"Terra voluta da Dio, pensata e creata per noi con quelle bellezze naturali, quel colore del mare, del cielo, quel profumo intenso di mirto, di lentisco..."

Così Giovanna descrive la "sua" Sardegna, in un biglietto indirizzato ad un'amica. È in Sardegna infatti, precisamente a Bidunì, frazione di Alghero (SS), che Giovanna nasce il 9 dicembre 1955.
Nella famiglia Spanu si respira amore: un legame tenerissimo, alimentato da mille attenzioni quotidiane, unisce papà Antonio e mamma Leonarda; mentre intesa profonda e affettuosa complicità caratterizzano il rapporto fra Giovanna e la sorella minore Maria.
Approdata a Parma all'età di dieci anni, Giovanna compirà nella città emiliana gli studi fino a conseguire il diploma di fisioterapista, professione che eserciterà con passione e competenza per anni. Nel frattempo dà vita a rapporti di profonda amicizia con alcuni giovani che frequentano la parrocchia dello Spirito Santo. E sarà proprio in parrocchia che la fede, già ricevuta in famiglia, diventa per Giovanna adesione personale alla chiamata di Gesù. Dopo un'esperienza di fidanzamento, da lei definito "bello e santo", avverte che solo Gesù potrà essere lo sposo cui donare interamente la vita. Il 15 giugno 1980, durante una celebrazione eucaristica, Giovanna esprime il suo sì totale e definitivo a Dio. L'espressione visibile della sua donazione è l'uscita di casa il 3 novembre 1981. In breve tempo si uniscono a lei alcune sorelle. Si dedica all'apostolato in parrocchia e alla formazione di una piccola comunità; nel 1989 abbandona la professione per vivere a tempo pieno il suo ideale.
Il 9 agosto 1999 viene diagnosticata a Giovanna una gravissima forma di tumore. Durante un incontro dice ad un gruppo di giovani:
"Questa malattia è stata per la mia vita come una ventata d'aria fresca: impetuosa e improvvisa. Ha spazzato via tutto quello che doveva cadere e ha lasciato in piedi ciò che è vero: ho solo Gesù."
Chi le vive accanto intuisce che anche le sofferenze più grandi diventano per Giovanna l'occasione per ripetere ogni giorno il suo sì allo Sposo teneramente e tenacemente amato.
Accoglie il dolore fisico come l'abbraccio particolare di Gesù; ringrazia per il dono del "tu-more che diventa sempre più A-more"; prega per i medici, per gli altri ammalati che incontra nel reparto di oncologia, per i sacerdoti, per i giovani, per i peccatori, per tutti; regala a ciascuno quel sorriso luminoso che la contraddistingue e con cui riesce a rasserenare chi si preoccupa per lei. Negli ultimi tempi invita a sospendere le preghiere con cui si chiede la sua guarigione perché il desiderio di incontrare Gesù è più forte di qualsiasi altro legame.

Il 23 luglio 2003 Giovanna conclude la sua giornata terrena, realizzando le sue stesse parole: "Vale la pena dare la vita per la meraviglia che è la nostra vocazione".

Lo splendore dell'anima illumina la grazia del corpo

Mi capita spesso di imbattermi in versi, frasi o letture che pare siano state scritte per Chiara. Alcune volte l'affinità con la sua vita è eclatante, come in questo caso.

Mi rivolgo a te, che vieni dal popolo, dalla gente comune, ma appartieni alla schiera delle vergini. In te lo splendore dell'anima si irradia sulla grazia esteriore della persona. Per questo sei un'immagine fedele della Chiesa. A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. E' questo che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta. Sta' sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà, colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo, prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L'anima tua gli vada incontro sulla sua parola, e s'intrattenga poi sull'impronta lasciata dal suo divino parlare: egli passa via presto.
E la vergine da parte sua che cosa dice? «L'ho cercato ma non l'ho trovato; l'ho chiamato ma non mi ha risposto» (Ct 5, 6). Se così presto se n'è andato via, non credere che egli non sia contento di te che lo invocasti, lo pregasti, gli apristi la porta: spesso egli permette che siamo messi alla prova. Vedi che cosa dice nel Vangelo alle folle che lo pregavano di non andarsene: «Bisogna che io porti l'annunzio della parola di Dio anche ad altre città, poiché per questo sono stato mandato» (cfr. Lc 4, 43). Ma anche se ti sembra che se ne sia andato, và a cercarlo ancora. E' dalla santa Chiesa che devi imparare a trattenere Cristo. Anzi te l'ha già insegnato se ben comprendi ciò che leggi: «Avevo appena oltrepassato le guardie, quando trovai l'amato del mio cuore. L'ho stretto forte e non lo lascerò» (Ct 3, 4). Quali dunque i mezzi con cui trattenere Cristo? Non la violenza delle catene, non le strette delle funi, ma i vincoli della carità, i legami dello spirito. Lo trattiene l'amore dell'anima. Se vuoi anche tu possedere Cristo, cercalo incessantemente e non temere la sofferenza. E' più facile spesso trovarlo tra i supplizi del corpo, tra le mani dei persecutori. Lei dice: «Poco tempo era trascorso da quando le avevo oltrepassate». Infatti una volta libera dalle mani dei persecutori e vittoriosa sui poteri del male, subito, all'istante ti verrà incontro Cristo, né permetterà che si prolunghi la tua prova. Colei che così cerca Cristo, che ha trovato Cristo, può dire: «L'ho stretto forte e non lo lascerò finché non lo abbia condotto nella casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice» (cfr. Ct 3, 4). Che cos'è la casa, la stanza di tua madre se non il santuario più intimo del tuo essere? Custodisci questa casa, purificane l'interno.
Divenuta perfettamente pulita, e non più inquinata da brutture di infedeltà, sorga quale casa spirituale, cementata con la pietra angolare, si innalzi in un sacerdozio santo, e lo Spirito Paraclito abiti in essa. Colei che cerca Cristo a questo modo, colei che così prega Cristo, non è abbandonata da lui, anzi riceve frequenti visite. Egli infatti è con noi fino alla fine del mondo.

Dai «Discorsi» del beato Isacco della Stella, abate.

venerdì 10 dicembre 2010

“Maria serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19)

"[...] debbo dire che era sì una ragazza ben educata, che piaceva a tutti e sapeva farsi apprezzare; ma mai e poi mai avremmo pensato che avesse una vita così ricca interiormente."
(Giuliano, amico di Chiara)


martedì 7 dicembre 2010

“Cerco di amare Gesù”

Chiara ha inconsapevolmente tracciato un percorso di santità. Ne era inconsapevole perché, umilmente, lasciava lavorare Cristo al posto suo. Come tutti i santi, era molto attenta ai propri difetti e cercava immancabilmente di trascurare o sminuire gli eventuali pregi. Credeva all'amore di Gesù e, per questo motivo, era convinta che potesse avere un piano sulla sua vita. Fiducia ripagata. Non poteva che trattarsi di una cosa sublime, molto più grande del più grande dei progetti di un'adolescente degli anni ottanta. Allora lo ha lasciato fare e si è limitata a prendere atto delle meraviglie di cui Egli era capace. "Abbandonarsi a Dio", "fare la sua volontà", si sente spesso dire, ed è proprio questo che Chiara ha fatto ed è in questo che ha vinto. Al vescovo, in visita al reparto dell'ospedale dov'era ricoverata, che le chiede il motivo della gioia che traspariva dal suo viso risponde: "Cerco di amare Gesù". Aveva già detto più volte il suo 'sì' a Gesù, eppure non dava mai Gesù per scontato, un dato di fatto, mentre rappresentava per lei una conquista giornaliera, una meta mai raggiungibile, continuamente ambita. San Francesco diceva che un giorno passato senza progredire nella santità rappresentava un passo indietro: per Chiara questo non avveniva perché riconduceva tutto a Cristo. Sempre. Chiara era un'ostinata della Grazia, era il suo pensiero fisso e Gesù, per questo, non l'ha privata di tale dono: "chiedete e vi sarà dato"; ma Dio non è un genio della lampada da contattare solo nei casi di bisogno, quando ci si sente giù: è un dio 'geloso' e un Padre infinitamente buono, prontissimo ad elargire i suoi beni a chiunque li chieda, ma è anche un dio giusto e riconosce i propri figli se questi si ricordano di lui. E' un amore che non può funzionare a corrente alternata. Per quanto Chiara possa discostarsi dai consueti 'canoni' della santità, questo è stata la freccia nel suo arco: con Gesù, ogni giorno, ecco cosa l'ha portata alla beatitudine. E farsi piccoli: Chiara lo faceva da sempre, e quando il Signore le ha chiesto una cosa molto più grande di lei non si è scandalizzata: ha avuto paura e ha sofferto, come chiunque figlio a cui venga richiesto un sacrificio che non è in grado di capire. Fino al momento della prova non lo sapeva, ma era preparata ad affrontare la croce, perché – nella sua pur breve vita - era sempre stata docile alla voce del suo Signore.

venerdì 26 novembre 2010

Il dolore di Chiara

“E’ stato proprio un momento di Dio: soffrivo molto fisicamente ma l’anima cantava.” 20.12.1989, in occasione di un ricovero coincidente con un congresso dei Gen.

La storia della salvezza - continuo tentativo del Padre di non perdere nessuno dei suoi figli - si compie e si manifesta pienamente nella Croce: “scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani, ma sapienza di Dio” (Cor.). La Croce, vale a dire la manifestazione definitiva dell’amore di Dio. Croce e Amore, se scritti uno accanto all’altro sembra quasi si respingano, tanto sono lontane le immagini che rievocano nel cuore delle persone. La Croce è, infatti, ‘segno di contraddizione’: è contraddizione per due genitori sopravvivere alla propria figlia, donata loro dopo anni di suppliche ed è allo stesso modo contraddizione per tutti coloro che l’hanno vista crescere e l’hanno conosciuta, perché Chiara era un dono per chiunque la incontrasse. Ma Chiara era ‘di Cristo’, era cristiana, e Cristo stesso - per questa profonda amicizia, coltivata ogni giorno da Chiara - l’aveva resa partecipe del suo segreto. La croce è una tale contraddizione per l’uomo, prediletta creatura resa cieca e paralitica dal peccato originale, da poter esser svelata e compresa solamente per mezzo dello Spirito di Dio e con una grazia particolare: accessibile a tutti, ma senz’altro particolare. Nel mondo si incontrano molte cose ‘buone’: solidarietà, fratellanza, amicizia, gioia, ecc… apprezzabili da chiunque, credenti e non, ma Dio ha tenuto per se la chiave per comprendere il significato dell’esistenza dell’uomo; una chiave così preziosa da poter essere rivelata solamente al proprio Figlio, il Salvatore, e a chiunque appartenga al Figlio stesso. Ma l’uomo è incapace di capire Dio. La creatura non ha accettato le scelte ‘scomode’ del Padre e si è costruito la figura di un Padre buono ma ‘ideale’, che allontana dolore e sofferenza più che partecipare ad essa ed aiutare ad entrarvi; un Padre che se ne sta nel suo cielo e che all'occorrenza lo si può chiamare per risolvere i più o meno grossi problemi di chi lo invoca. La realtà è che l'uomo può incontrare - nel senso più stretto del termine - il suo Creatore proprio nella Croce. Se un cristiano ‘crede’, non può rinunciare a questa verità, per quanto scomoda possa sembrare. Quando i pastorelli di Fatima chiedevano di guarire le persone che si raccomandavano alla Vergine Maria, lei non diceva sempre ‘sì’ ma spesso rispondeva ‘non ancora’, come se non fosse ancora giunto per tutti il tempo della santificazione e che la sofferenza che stavano passando rappresentasse la necessaria purificazione, e come se l’anima potesse ‘sopportare’ la vista di Dio solamente se purificata. Una purificazione - soprattutto spirituale - a cui vanno inoltre soggette tutte le anime che iniziano il lungo viaggio e cercano perciò di avvicinarsi a Dio. «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» (Es). Se si crede veramente all'amore di Dio, non si può allora non credere che il Padre farà l'impossibile per sostenere la sua creatura nella sofferenza. Chiara ne rappresenta un rilucente esempio: come è possibile non credere che Chiara avesse Gesù Cristo al suo fianco? Lo sguardo di Chiara è lo sguardo di un amore che non ha paragoni, un amore senza confini.

giovedì 25 novembre 2010

Il tempo di Chiara

"So che il tempo è un dono di Dio, so che ogni ora del giorno è una monetina da spendere con giudizio e con bontà." [1979]

 

"Riflettendo ci accorgiamo che spesso l'uomo non vive la sua vita, perché immerso in tempi che non esistono: o nel ricordo o nel rimpianto… In realtà… l'unico tempo che l'uomo possiede è l'attimo presente che va vissuto interiormente sfruttandolo appieno. Vivendo così certamente l'uomo si sente libero perché non è più schiacciato dall'angoscia del suo passato e dalle preoccupazioni per il suo avvenire." [1989]

 

A diciotto anni, Chiara approfondisce un argomento che già dieci anni prima aveva trattato con una maturità insolita per una bambina della sua età; parla del rischio di una vita non vissuta, di ricordi, rimpianti, e di un'unica chance per possedere pienamente il proprio tempo: viverlo interiormente. A otto anni aveva scritto 'con giudizio e bontà', a diciotto 'interiormente': la sostanza è la stessa; nell'adolescenza Chiara non è solamente una bambina ispirata divenuta maggiorenne, ma è una creatura che nel corso degli anni non ha mai abbandonato quella strada e ora, nella malattia, sta raccogliendo quei frutti che le permettono di vivere interiormente la propria vita e di portare, ogni giorno, la sua croce. Alla fresca e pura innocenza di una bambina, si manifesta, progressivamente, una consapevolezza sorprendente. Ciò che traspare negli ultimi anni ha poco a che vedere con 'educazione' o 'insegnamento' (comunque importanti), ma è invece molto più vicino a qualcosa che si può definire, appunto, 'frutto'. Quello che si manifesta in Chiara sembra il risultato di un abituale e personale incontro con il suo Maestro: vive, così, il suo tempo. Rinunciare a vivere il tempo presente e a combattere ogni giorno per questo fine significa perdere il fondamento stesso del vivere pienamente; se questo accade, si crea un vuoto nella propria esistenza e quindi la necessità di fuga: nel rimpianto del passato o nella preoccupazione del futuro. Chiara era discreta, non ostentava la propria fede, ma ha in questo modo corrisposto alla grazia ed è così divenuta lei stessa testimone, in particolare durante quei drammatici 25 minuti durante i quali, di fronte al peso della croce, ha raccolto tutte le sue forze per porgere al Signore il suo dolore. Ha quindi alzato e rivolto il viso verso la madre, dicendole: «Se lo vuoi tu Gesù, lo voglio anch'io». Era pronta.

sabato 20 novembre 2010

Ma liberaci dal male

Discorrendo di quella che ritenevo essere l'impotenza di Dio di fronte al male ed ai fatti terrificanti della vita, una mia amica, una sera, se ne uscì con "da Dio non viene il male, ma Dio può trarre il bene dal male". Lo trovai molto sensato. Dio può certamente intervenire, negli avvenimenti, in qualche modo, ma per me è sempre stata una cosa complicata da capire, e ancora più complicato capirne l'effettiva portata, i risvolti, e tutto quello che ne consegue e che va al di là di quanto i miei sensi possano recepire, con tutta la più buona volontà. Quello di cui invece sono certo è che Dio interviene nelle persone, perchè l'ho visto, come vedo sorgere il sole ad est. Non dico di aver visto le persone decidere solamente di cambiare in direzione del bene, o decidere di far proprio un codice, un comportamento da loro ritenuto 'buono', ma ho visto le persone cambiare nella loro sostanza, se così si può dire. E non sono proprio le persone, con il loro contributo, con le loro scelte, azioni, a modificare i fatti e la (nostra e altrui) storia? E' altrettanto vero che al di sopra di tutto questo sussista la libertà di rifiutare questa opportunità. Ciò vuol dire che da sempre, e per sempre, bene e male si troveranno fianco a fianco, sfumature intermedie comprese, per cui chi sceglie il bene (amore) si scopre a fare il male e chi fa il male, può scoprire le meraviglie del bene: se la nostra essenza non manifestasse una così palese fragilità, quale necessità avremmo avuto di essere salvati? La consapevolezza di potersi trovare per un nonnulla, in questo faccia a faccia, da una parte o dall'altra della barricata è un potente freno nell'azzardare a valutare ciò a cui si assiste quotidianamente con gli occhi di un giudice. Come cambiare, allora? Come dare a Dio il modo di intervenire? Nella maniera più equa che si possa immaginare, altrettanto valido per il misero, il pezzente, quanto per il capo di stato o la stella del Rock and Roll: la preghiera.
"A noi sono necessarie le parole per richiamarci alla mente e considerare quello che chiediamo, ma non crediamo di dovere informare con esse il Signore, o piegarlo ai nostri voleri. Quando diciamo: «Liberaci dal male», ricordiamo a noi stessi che non siamo ancora in possesso di quel bene nel quale non soffriremo più alcun male. Questa domanda [...] ha un significato larghissimo. Perciò, in qualunque tribolazione si trovi il cristiano, con essa esprima i suoi gemiti, con essa accompagni le sue lacrime, da essa inizi la sua preghiera, in essa la prolunghi e con essa la termini." (da 'Lettera a Proba' - S. Agostino)
[intervento personale già pubblicato sul blog di Paolo Vites 'The Red River Shore']

venerdì 19 novembre 2010

Il sorriso di Chiara

Chiara è speciale. Nel corso dei suoi poco meno che diciannove anni, non è stata notata per eventi prodigiosi o strabilianti carismi com'è avvenuto, per esempio, nel caso di Anna Emmerick; non ha preso i voti, non ha avuto nel suo corpo i segni visibili della passione di Cristo, come San Francesco o Padre Pio o la stessa Emmerick e, per quanto ci è dato di sapere, non pare abbia avuto nella sua vita le visioni di una Santa Teresa d’Avila, di una Santa Brigida o di una Santa Faustina Kowalska. Nemmeno le sono state rivelate, dall’aldilà, particolari forme di devozione da diffondere tra i credenti o altre forme di rivelazione privata e non ha vissuto nello stato di indigenza di una Bernadette. Eppure, Chiara, spoglia di tutto questo, non è meno speciale di chi l'ha preceduta, perché è stata 'luce' per chiunque l'abbia conosciuta e perché non ha gettato al vento nulla di ciò che Dio le aveva donato; perché chi è capace di avvicinare a Dio è veramente speciale e lei lo ha fatto - e continua a farlo - nel suo modo, semplice e puro: con l’esempio della sua vita e con il suo radioso sorriso. E' proprio speciale chi è capace di rendere desiderabile la santità, ed è anche capace, con il suo solo 'essere', di 'chiamare', predicare e consolare. E' speciale, infine, chi percorre una via che si manifesta agli altri come dono tra i più cari e preziosi perché capace di rendere meno terrificanti le più grandi delle paure.